La persecuzione dei cattolici in Cina

Il 23° anniversario della repressione di piazza Tien An Men e la vicenda del dissidente Chen Guancheng hanno riportato la Cina sotto i riflettori dell’opinione pubblica mondiale, ma molti soprusi del regime di Pechino sono ancora coperti da silenzio e indifferenza. Per questo hanno ancora più valore le iniziative della Laogai Foundation Italia, come la presentazione del libro di Francesca Romana Poleggi, intitolato “La persecuzione dei cattolici in Cina” o il convegno tenutosi il 6 giugno in Campidoglio, a Roma, su “Lavoro e globalizzazione: i Diritti Umani in Cina e in Tibet”.  Che la Cina sia ancora oggi terra di martirio per i Cristiani non è una novità: migliaia di persone arrestate, torturate ed uccise perché non vogliono rinnegare la loro Fede ed il legame con il Papa, che il regime comunista considera come un capo di Stato straniero ostile al Paese. Ci sono Vescovi ultraottantenni che hanno passato più di metà della loro vita in carcere; di alcuni di loro non si sa più nulla. Il regime, fin dagli anni ’50 ha cercato di porre sotto controllo anche la Fede cristiana, creando l’Associazione patriottica, una chiesa di Stato completamente controllata dal Partito comunista, che pretende di decidere persino la nomina dei Vescovi. Nonostante l’inevitabile disorientamento che la presenza di due realtà cristiane così diverse genera, le conversioni continuano ad aumentare; secondo Poleggi in Cina oggi ci sono dai 20 milioni agli 80 di cattolici. Il martirio dei Cristiani si inserisce nella realtà disumana delle repressioni contro ogni espressione di libertà; più di 1000 “laogai”, fabbriche – lager di tipo prettamente nazista – stalinista, dove lavorano in condizioni disumane dai 2 ai 6 milioni di Cinesi, spesso prigionieri di coscienza. Infine, il Tibet; invaso dai Cinesi più di mezzo secolo fa e teatro ancora oggi di un autentico tentativo di genocidio culturale nei confronti della popolazione autoctona.